In seguito alla sentenza del Tar che, dopo aver negato la sospensiva, ha rinviato alla Corte Costituzionale la questione della “addizionale” da 500 milioni sugli apparecchi da gioco, ovviamente nessuno
In seguito alla sentenza del Tar che, dopo aver negato la sospensiva, ha rinviato alla Corte Costituzionale la questione della “addizionale” da 500 milioni sugli apparecchi da gioco, ovviamente nessuno ha cantato vittoria. Tra questi, i tanti gestori che diligentemente hanno risposto all’aut-aut dei rispettivi Concessionari-esattori, i quali dovranno aspettare la sentenza definitiva (almeno un anno, ad essere ottimisti) per intentare l’azione risarcitoria.
Effettivamente, si tratta di un atteggiamento contraddittorio, perché, al momento, su un fatto non vogliamo avere dubbi: che la Corte darà ragione al Tar annullando quella che può essere catalogata come una delle peggiori manovre finanziarie del Governo Renzi, che per altro sembra essere molto confidente coi prelievi forzosi, visto ad esempio il bel regalino che si sta preparando ai pensionati per finanziare l’opzione donna, o peggio ancora quello attuato nei confronti di tanti piccoli-medi risparmiatori col decreto salva banche.
Lasciamo stare il colore della parte politica che ha la maggioranza in Parlamento, perché ormai non conta più nulla. Qui si parla di una profonda violazione dei principi costituzionalmente definiti, operata per altro nel modo più maldestro, e in particolare:
Detta in linguaggio facile, il Governo ha violato i principi dell’eguaglianza dei cittadini (termine che la giurisprudenza ha meglio definito introducendo il principio della ragionevolezza), la libertà di iniziativa economica e dell’imparzialità dell’amministrazione.
L’addizionale è scaturita da un’operazione molto grossolana, figlia dell’astruso tentativo di raggiungere contemporaneamente due obiettivi opposti: da un lato, naturalmente, quello di garantirsi quel mezzo miliardo in più, a prescindere dall’andamento della raccolta, che ben sappiamo volge da qualche tempo in negativo; dall’altro, quello di dare, se possibile, una prima tagliata al parco macchine in circolazione così anche da facilitare la decimazione prevista dalla legge delega.
Ancor oggi, è vero, Baretta insiste con le cesoie in mano. Per lui la soluzione a tutti i mali è quella di far fuori dalle 80 alle 100mila macchine. Ma se questo è il modo di ragionare nelle alte sfere, è normale che poi si finisca, del tutto allegramente (ed incoscientemente verrebbe da dire), col rendere l’iniziativa economica non più libera ma costretta, col fare figli e figliastri tra i contribuenti, col rendere l’Adm un organo dittatoriale.
Il problema lo conosciamo tutti: quando si introduce una tassa è doveroso tener presente la capacità contributiva (in base alla raccolta, nel nostro caso) e questo non è stato fatto, disattendendo persino la previsione della legge delega (secondo la quale la revisione degli aggi e dei compensi, infatti, avrebbe dovuto seguire “un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate”); inoltre, è assolutamente illegittimo che le modifiche normative vadano a “vanificare l’iniziativa economica intrapresa e gli investimenti sostenuti”.
Purtroppo, i nostri gestori ben lo sanno, il settore degli apparecchi è quello che, più di ogni altro, è sottoposto al cosiddetto “rischio regolatorio”. Quante volte le regole sono cambiate in corso d’opera, facendo saltare tutti i business plan? E se ancora questo vogliamo considerarlo accettabile – in presenza di una norma che subentri alla precedente con la giusta gradualità dando nel contempo una mano agli interessati, magari, come è accaduto ai tempi del passaggio alla comma 6A, modificando positivamente i parametri di impostazione delle macchine – stavolta il provvedimento è stato drastico oltremisura.
Nessuno ha avuto modo di riorganizzarsi – e questo il Governo voleva.
Nessuno ha avuto il modo di scappare via prima – e questo il Governo voleva.
Topi in trappola, i nostri gestori, pronti per la mannaia.
“L’art. 28 della convenzione di concessione fissava puntualmente il compenso del concessionario, prevedendo che, a fronte degli adempimenti connessi all’affidamento delle attività e delle funzioni previste dalla concessione, il concessionario percepisce un compenso omnicomprensivo, determinato sulla base della raccolta del gioco tramite gli apparecchi da divertimento ed intrattenimento al netto di quanto dovuto ad AAMS, all’Erario, agli utenti, ai soggetti abilitati contrattualizzati per la raccolta dell’importo residuo ai sensi dell’atto di convenzione e, nell’ambito dell’alea propria di ogni attività imprenditoriale, ciascun concessionario avrebbe ragionevolmente calibrato la propria attività individuando nelle richiamate disposizioni la fonte del rapporto concessorio ed anche la fonte delle sue possibili variazioni.In ogni caso, non sarebbe rimesso al mero arbitrio dell’amministrazione, o dello Stato, introdurre cambiamenti di una portata tale da stravolgere il sinallagma concessorio e il comma 649 avrebbe introdotto un intervento sproporzionato e del tutto irrazionale rispetto allo scopo che il legislatore avrebbe inteso perseguire, producendo, di fatto, l’effetto opposto di ridurre drasticamente il gettito erariale, nonché quello di annullare sostanzialmente la sopravvivenza dello stesso settore.”
Abbiamo scelto questo come il passaggio chiave della sentenza del Tar. E ci sembra superfluo ogni commento.
In attesa di quanto deciderà la Consulta, fra qualche giorno (1° dicembre) dovrebbe pronunciarsi pure il Consiglio di Stato, a cui i concessionari si sono rivolti all’indomani della negazione della sospensiva del provvedimento. La scadenza del 31 ottobre è ben che passata, ma da quanto si apprende da voci di corridoio, i restanti 300 milioni sarebbero stati versati solo in parte, cioè nella parte di quei gestori che hanno accettato di rinegoziare gli accordi contrattuali. Quindi, la speranza, abbastanza velleitaria per la verità, è quella di ottenere una pronuncia che sostanzialmente dica: chi non ha pagato, per ora non può essere perseguito.
In tutta sincerità, questo ci sembra a dir poco improbabile. Molto più facile pronosticare un “no contest” da parte del Consiglio di Stato, ovvero: nel momento in cui apprenderà che il Tar ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, deciderà di non procedere, anche e soprattutto per evitare il cosiddetto conflitto fra giudicati. In altri termini, essendo sopravvenuto il giudizio di merito del Tar, il CdS giungerà a considerare del tutto superata la questione della mancata sospensiva e quindi automaticamente decaduto il ricorso. In definitiva, lo ripetiamo, in qualsiasi giurisdizione accada, laddove si sollevi un’eccezione di legittimità costituzionale, qualsiasi altro procedimento inerente la medesima materia si blocca. E ora non c’è ragione che possa accadere il contrario.
D’altra parte, la scelta del Tar di negare la sospensiva potrebbe aver avuto proprio questo obiettivo strategico: evitare lungaggini ed entrare subito nel merito, avendo chiari sospetti che la norma in questione contrasti coi principi costituzionali sopra illustrati.
Marco Cerigioni – PressGiochi
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