24 Novembre 2024 - 06:16

Social casino, quell’anomalia che mette tutti in imbarazzo

I social casino mettono in imbarazzo, tutti. Perché è difficile incasellarli in una definizione. L’unica parola che viene in mente è anomalia. Sono app per giocare alle slot e agli

05 Febbraio 2024

I social casino mettono in imbarazzo, tutti. Perché è difficile incasellarli in una definizione. L’unica parola che viene in mente è anomalia. Sono app per giocare alle slot e agli altri giochi da casinò. Ma sono incentrati sull’entertainment, dovrebbero servire a fare amicizia, a giocare con gli amici. Il nome social viene da qui. Non si vincono soldi, solo gettoni virtuali per giocare ancora. Ma se si perde? Ogni giorno si riceve uno stack di fiches gratuito. Se non basta, se ne possono acquistare altri, pagando dai 2 ai 100 euro. Quindi non si vincono soldi, ma se ne possono perdere. E a quanto pare anche parecchi. Secondo Statista, questo settore muove un giro d’affari di 6,2 miliardi di dollari l’anno.

Negli Stati Uniti diversi giocatori hanno tentato delle class action, perché – sostengono – i social casino sarebbero una forma illegale di gioco online. E alcuni oltretutto avrebbero perso il controllo. In tribunale hanno trascinato Apple e Amazon, perché i social casino possono essere scaricati da qualunque app store, e – sostengono sempre i querelanti – i colossi del web incassano una commissione del 30% sulle fiches vendute. Anche per loro, quindi, il business frutterebbe miliardi di dollari.

Nel 2022 è toccato anche alla IGT: a causa dell’attività di una controllata – la Doubledown Interactive, che peraltro aveva ceduto cinque anni prima – ha preferito firmare un accordo stragiudiziale, e pagare un risarcimento da 415 milioni. E qui c’è un altro elemento che suona singolare: perché alcuni colossi del gambling gestiscono anche dei social casino. Novomatic, attraverso Greentube, controlla la Funstage. Aristocrat Leisure sta investendo fortemente nel settore, e possiede la Big Fish Games. Zynga ha fatto il percorso inverso: è nata come sviluppatore di giochi social e poi è entrata nel gambling. E peraltro anch’essa ha dovuto chiudere con un accordo una class action.

Per chi opera nell’entertainment può sembrare un’evoluzione naturale. Ma per gli altri suona come un campanello di allarme. Tanto che il direttore del MOIGE Antonio Affinita bolla i social casino come “una preparazione pubblicitaria al gioco d’azzardo. Servono a creare una prima connessione, una prima assuefazione ai siti di gioco”. E il MOIGE ha ricevuto diverse segnalazioni su questi prodotti.

Prende le distanze anche Moreno Marasco, presidente di LOGiCO. “Il fenomeno del social gaming, non essendo regolamentato, va monitorato, in tal senso bene fa il MOIGE a vigilare. Occorre inviare ai ragazzi un messaggio generale: tenersi lontani da qualunque dipendenza, che sia gratis o a pagamento. Perché oggi può essere il videogame e domani può essere il gioco con vincita in denaro”. Ma poi difende il gambling italiano che dispone di “importanti strumenti di autolimitazione, che non hanno eguali in altri ambiti”. E ancora, “I minori devono stare lontano dal gioco con vincita in denaro e questo oggi è possibile soprattutto con e grazie alle piattaforme di gioco legale online”.

Su questo specifico aspetto, concorda anche il MOIGE. “A differenza di quanto avviene nel caso del gambling” aggiunge Affinita, “per accedere ai social casino non si deve affrontare nessun processo di age verification. E quindi si consente ai minori di avvicinarsi a dei giochi che sono molto simili all’azzardo vero. Insomma è una situazione abbastanza confusa”.
Sulla verifica dell’età c’è l’anomalia maggiore, perché la maggior parte di questi giochi sono facilmente accessibili ai minori. Google Play nelle proprie policy spiega che “Quando i nostri sistemi indicano che potresti avere meno di 18 anni, utilizziamo le classificazioni anche per… bloccare o filtrare i contenuti inappropriati per i minori nelle pagine delle categorie e nella ricerca di Google Play”. Chiaramente non ha alcun valore statistico, ma PressGiochi ha provato a scaricare alcune app dallo store – con un tablet che viene utilizzato in via esclusiva da minori – e non ha avuto problemi a farlo. Ha quindi cercato di contattare la sede italiana di Google per sapere come funzionano questi filtri, ma non ha ottenuto risposta.

Il problema però non riguarda solo Google – e probabilmente ogni altro app store – ma è a monte. I social casino infatti, come ogni videogame, vengono classificati in base al PEGI, Pan European Game Information. Il sistema – si legge sul sito istituzionale – “è supportato dai principali produttori di console, tra cui Sony, Microsoft e Nintendo, nonché dagli sviluppatori e dagli editori di giochi interattivi in tutta Europa”. E quindi dovrebbe impedire ai minori di accedere a contenuti inappropriati, come droghe, trattamenti discriminatori, sesso. E anche gioco d’azzardo. Il controllo avviene in più fasi. All’inizio gli sviluppatori dei videogiochi compilano un questionario, indicando “l’eventuale presenza di violenza, sesso, linguaggio scurrile” etc. Quindi si passa a un controllo automatico: “il sistema di classificazione online di PEGI determina automaticamente una classificazione”. E alla fine c’è un controllo effettivo, svolto da persone in carne e ossa: “Gli amministratori PEGI ricevono il gioco dall’editore e esaminano attentamente la classificazione provvisoria in base all’età”.

Buona parte dei social casino sono classificati 12+, in sostanza quindi secondo il PEGI questi prodotti sono adatti a un pubblico di adolescenti. “La classificazione PEGI in questo caso è fuorviante” commenta ancora Affinita. “Il PEGI dovrebbe testimoniare che il settore si auto-regolamenta, ma evidentemente questo non avviene sempre”.

Il problema è appunto che non si tratta di casi isolati, ma di un giudizio sistematico. Insomma il PEGI sembra convinto del fatto che a questi giochi possano accedere anche i più giovani senza problemi. Sarebbe interessante sapere quali abbia fatto, ma anche questa associazione ha preferito non intervenire.

Il dubbio di fondo alla fine è quale sia il confine tra un gioco normale e un gioco d’azzardo. Perché il gioco dell’oca è uno dei primi giochi che si insegnano ai bambini, e viene considerato anche educativo, perché si impara a contare. Ma se ci si scommettesse sopra, allora non sarebbe molto lontano dal gioco dei dadi.

Un parallelo che Affinita respinge: “In un casinò reale non esiste una versione del gioco dell’oca che consenta di piazzare delle scommesse. Nel caso dei social casino abbiamo invece dei giochi in tutto e per tutto simili a quelli dei casinò. E in questo modo, i minori si abituano a quei giochi che potranno praticare da grandi. Si crea anche una dinamica di connessione, di aspettativa quasi. Di promozione, in questo modo quando arrivano a 18 anni conoscono già meccanismi e funzionamenti. Senza contare” conclude il direttore del MOIGE, “che li si avvicina a altre problematiche, come quelle relative ai pagamenti, al fatto che sia necessario sostenere ulteriori costi. Anche quello è un freno che viene allentato”.

 

Gioel Rigido – PressGiochi MAG

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