Nessuno c’è mai riuscito ma anche in Italia vogliono bloccare i pagamenti ai siti .com
Ci vogliono riprovare.
Oltre a svedesi e britannici che invocano il blocco dei pagamenti per chi gioca online su siti non autorizzati, in Italia stanno per approvare questo stesso divieto già previsto dalla legge finanziaria del 2019 (Conte II).
Sarebbe, apparentemente, un metodo risolutivo per un problema che da sempre affligge il legislatore: i siti di gioco stranieri che fanno concorrenza a quelli autorizzati da Adm. Notoriamente, i Monopoli fanno un monitoraggio costante e, non appena li individuano, li segnalano alla Polizia postale che impone ai provider Internet di oscurarli. Ovvero, di impedire ai loro clienti di visualizzarli sul proprio computer. Il sistema, però, non è affatto efficace, come hanno ammesso gli stessi Monopoli, perché l’oscuramento viene facilmente aggirato. E questi casinò online risultano più attrattivi per il giocatore perché non sono sottoposti agli obblighi e ai limiti imposti dalla legislazione italiana, a cominciare dal carico fiscale.
Il blocco dei pagamenti, quindi, sarebbe l’uovo di colombo. Proprio perché non si può utilizzare il contante per puntare e per riscuotere le vincite online, a differenza delle sale giochi fisiche. Allora perché non obbligare le società di pagamento elettronico a rifiutare le transazioni con società di gioco non autorizzate in Italia?
In realtà, non è affatto semplice. E finora è stato proprio impossibile. Anche all’estero.
Le ragioni sono diverse e proviamo a riassumerle. Cominciando dal primo tentativo, che fu fatto nel 2011 dal Governo Berlusconi, con Tremonti all’Economia. In un decreto legge che aveva l’obiettivo di aggredire l’evasione fiscale, l’articolo 24 diceva: “le società emittenti carte di credito, gli operatori bancari, finanziari e postali segnalino in via telematica ai Monopoli di Stato gli elementi identificativi di coloro che dispongono trasferimenti di denaro a favore di soggetti, indicati in apposito elenco predisposto dalla stessa Amministrazione, che offrono, attraverso reti telematiche o di telecomunicazione, giochi, scommesse o concorsi con vincite in denaro in difetto di concessione, con relative sanzioni per l’inosservanza di tale disposizione”.
Naturalmente, non ne fu fatto nulla. E il perché è stato spiegato in aula nel 2017 nella risposta del sottosegretario Baretta a una interrogazione parlamentare: quelle norme “non hanno potuto trovare ancora attuazione per difficoltà oggettive palesate dall’Abi (Associazione banche italiane ndr.) e dagli istituti bancari in merito alla impossibilità/difficoltà di conoscere l’identità dei soggetti che operano illegalmente in Italia nel mercato online con determinati marchi e che non palesano mai la loro denominazione sociale e di individuare precisamente la corrispondenza delle operazioni di trasferimento di denaro con tali soggetti”.
In poche parole, le banche hanno detto che questa regola era materialmente inapplicabile.
Qualcuno può insinuare che queste difficoltà siano dovute a uno scarso sviluppo tecnologico delle banche italiane. Ma basta andare dall’altra parte dell’Oceano per vedere che addirittura gli Stati Uniti hanno fatto di peggio. Loro una norma simile l’avevano inserita in una legge di contrasto al gioco illegale del 2006 (Uigea, Unlawful Internet gambling enforcement act). Con il risultato che gli operatori di gioco legali videro bloccate la metà delle loro transazioni mentre quelli illegali trovarono degli altri metodi per scambiare i soldi (puntate e vincite) con i loro clienti.
Ma perché, concretamente, sarebbe così difficile attuare questo blocco?
Vediamo cos’è successo negli Usa. Dove si erano basati su un codice chiamato Mcc, Merchant category code, che viene assegnato a ogni società sulla base dell’attività che svolge. Qualcosa di simile al nostro codice Ateco (quello assegnato in Italia al momento di aprire una partita iva) ma valido in tutto il mondo. E per questo motivo non fa distinzione tra chi è autorizzato in un determinato Paese e chi no. Quindi, nella metà dei casi, sono state bloccate le transazioni anche di chi voleva giocare su siti perfettamente legali. I siti di gioco non autorizzati, invece, hanno suggerito ai propri giocatori di utilizzare strumenti alternativi, come e-wallet, carte di debito o pre-pagate e anche semplici bonifici.
E in Italia come si comporterebbero i circuiti di pagamento elettronico?
PressGiochi lo ha chiesto a Mastercard, uno dei principali circuiti mondiali. Che ha spiegato come l’autorizzazione alle singole transazioni non spetti a loro ma a chi emette la carta, in gergo issuer, che di solito è una banca. E al momento, esistono già banche che impediscono le transazioni con società di gioco per il proprio codice etico.
Lo testimonia Francesco Crudo, country manager di Okto, istituto di pagamento presente anche in Italia, che si è visto rifiutare un pagamento al bar di un bowling: “La banca che emette la carta stabilisce di rifiutare una transazione quando il beneficiario ha un determinato codice Ateco” spiega “e un centro bowling risulta una società di gioco a tutti gli effetti. Quindi, anche il bar che gestisce al suo interno ricade sotto lo stesso codice Ateco”.
Questo episodio suggerisce anche un altro problema che si presenta per applicare questo blocco alle transazioni online: la società che gestisce i conti di un sito di gioco, potrebbe avere (e di solito ha) anche altre attività del tutto innocue: alberghi, e-commerce eccetera. Può succedere, quindi, che un utente non riesca a prenotare un albergo o a comprare dei libri semplicemente perché a riscuotere quei pagamenti è una società che gestisce anche un sito di gioco. In modo del tutto lecito per le leggi di quel Paese.
In realtà, Crudo aggiunge che ci sarebbe anche un sistema per riconoscere gli operatori di gioco autorizzati: il cig, codice identificativo gara. Dal 2013, viene assegnato al momento in cui la società ottiene la concessione ed è obbligatorio indicarlo nelle transazioni di quella società con clienti e fornitori.
“Ma riguarda solo i bonifici” precisa Crudo “perché nei pagamenti con carta non è possibile inserire questa informazione”.
Quindi, non c’è modo di impedire agli italiani di puntare i loro soldi su siti stranieri?
“Al momento, non vedo proprio come si possa fare”, conferma Crudo “anche perché il modo più semplice per aggirare una norma del genere sarebbe quello di aprire un conto online all’estero. Operazione che si può fare in pochi minuti dal proprio smartphone”. Insomma, quello che era stato fatto già negli Usa diversi anni fa. E oggi è ancora più semplice operare con banche estere.
Date queste premesse, risulta decisamente strano che la Gran Bretagna abbia inserito questa indicazione nel white paper appena pubblicato dall’authority locale, la Gambling Commission, tra le richieste avanzate al legislatore per dar vita a una nuova normativa sul gioco d’azzardo. Ma la Svezia va oltre: aveva già deciso il blocco dei pagamenti che era fallito e ci riprova: ha stabilito che l’authority (Spelinspektionen), deve fissare delle nuove regole per impedire i pagamenti a favore di società non autorizzate.
Non è specificato in che modo questa norma dovrebbe funzionare, viste le esperienze precedenti in Svezia come all’estero.
Giampiero Moncada – PressGiochi
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