La pesantezza tipica dei documenti parlamentari può facilmente far perdere di vista gli elementi essenziali dei relativi contenuti, qualora non si proceda ad una lettura attenta e critica dei testi.
La pesantezza tipica dei documenti parlamentari può facilmente far perdere di vista gli elementi essenziali dei relativi contenuti, qualora non si proceda ad una lettura attenta e critica dei testi.
Non sfugge a questa ‘regola’ l’enciclopedica relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali pubblicata alcune settimane fa sul sito del Parlamento, che contempla anche una analisi della «Influenza e controllo criminali sulle attività connesse al gioco nelle sue varie forme».
Ebbene, facendoci carico di tale impegno, all’interno di un approfondimento pubblicato sull’ultima edizione di PressGiochi MAG, abbiamo subito notato come la Commissione, quale organismo ‘esterno’ al mondo del gioco e ovviamente ‘super partes’, abbia lucidamente e precisamente indicato tutti i punti di criticità che sono a monte del fenomeno delle infiltrazioni mafiose e criminose nel settore, essendo di fatto dei ‘buchi di sistema’ entro i quali si possono insinuare, più o meno facilmente, le operazioni illecite.
Il primo fra quelli segnalati è la quasi totale indifferenza manifestata dalla politica nei riguardi della «relazione Vaccari» del 2016, affermando testualmente che: “Nonostante il ponderoso e puntuale lavoro svolto, le raccomandazioni e le proposte formulate nella citata relazione non ebbero il seguito normativo e organizzativo atteso, fatta eccezione per l’adozione di alcuni provvedimenti collaterali quali il divieto di pubblicità e sponsorizzazioni e quelli, incidentali, di vigilanza sanitaria adottati durante la fase acuta della pandemia da Covid-19.”
Chiederci il perché e il percome non è più tempo. Del resto, da allora a oggi gli scenari del settore del gioco sono mutati notevolmente e, pertanto, si rendeva necessaria una nuova indagine, di cui si è fatta carico il IV Comitato, coordinato dall’ormai ex senatore Giovanni Endrizzi.
Tuttavia, era scontato attendersi il riaffiorare di vecchi problemi. A cominciare dalla necessità di scandagliare il rapporto concessorio, i relativi bandi di gara, gli statuti e gli atti costitutivi delle società concessionarie, anche tenendo conto delle normative regionali in tema di salute pubblica; proseguendo poi con l’“approfondire se i contratti di concessione siano o meno la causa dell’attuale deresponsabilizzazione, intesa come impossibilità ad oggi di individuare precise responsabilità civili e penali dell’offerta. Più precisamente, sarà compito del Parlamento ricostruire il giusto bilanciamento di interessi tra Stato e concessionarie.”
Insomma, il ‘male’ sta alla radice.
Non sono bastate le tante modifiche che hanno subito nel tempo le norme in oggetto per costruire un sistema stabile, capace anche di contrastare con efficienza l’infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Le attenzioni, come al solito, si concentrano sul comparto degli apparecchi da gioco, ma si estendono altresì al settore online e ai cosiddetti CTD, che destano anch’essi particolare preoccupazione.
Tralasciando tutto il discorso relativo alle modalità con cui la criminalità si infiltra nei punti vendita e nelle piattaforme di gioco legale – che a noi addetti ai lavori sono ben note, ma di cui si consiglia comunque la lettura sul testo della relazione, che ce ne offre un quadro assolutamente preciso e circostanziato – preferiamo addentrarci nella raccomandazione primaria fatta dalla Commissione in merito ai controlli. Innanzitutto, manca ancora un coordinamento tra le forze di polizia a competenza generale (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza), dall’ADM e della polizia locale; al che bisognerebbe che una di esse si assuma l’onere, mantenendo un fascicolo aggiornato su ciascun operatore, comprensivo di ogni controllo eseguito. Emblematica, al riguardo, è la circostanza per cui la stessa Commissione parlamentare antimafia, per costruire un quadro complessivo dei controlli svolti nel settore dei giochi in un determinato arco temporale, abbia dovuto attivare le singole forze di polizia e l’ADM ottenendo, peraltro, dati tra loro poco omogenei e con differenti livelli di dettaglio. Inoltre, sempre secondo la Commissione, le autorità competenti debbono far sì che il complesso degli interventi sia proporzionale ai parametri indicativi del volume di gioco d’azzardo osservato in una determinata area del Paese, evitando, come talvolta accade, che il numero dei controlli in una provincia o regione ad alto rischio sia sottodimensionato rispetto al necessario, o viceversa.
Come se non bastasse, l’Organismo ritiene che la difficoltà dei controlli nasce anche da una complessità di base dovuta alla farraginosità delle norme e alla complessità tecnica degli apparecchi da controllare. Ebbene, udite udite, sapete quale è la soluzione? Individuare anche modalità di formazione e di aggiornamento di adeguate competenze!
Tutte cose che dovrebbero essere acquisite da anni. Al che viene da chiedersi se la colpa vada data all’inettitudine di taluni soggetti a guardare le cose con una visione d’assieme oppure a quella sorta di cancrena che affligge legislatore e regolatore nel concentrarsi solo sulle questioni emergenziali. Anzi, in capo alla ADM la Commissione evidenzia anche un possibile conflitto di interessi: “L’esigenza di garantire gli obiettivi di cassa fissati dall’autorità di governo potrebbe non stimolare adeguatamente l’esercizio dei poteri sanzionatori, con la conseguenza di consentire la presenza sul mercato di operatori che adottano prassi non conformi alla disciplina nazionale e al diritto dell’Unione in tema di esercizio dei giochi e rispetto delle norme antiriciclaggio”.
Ma Endrizzi&C. non risparmiano bacchettate ad alcuno.
Al legislatore, a cui si chiede un “ripensamento delle sanzioni, con la previsione di figure delittuose anche per le condotte oggi sanzionate a titolo di contravvenzione” e di procedere ad un adeguamento normativo per le indagini digitali (quali ad es.: definizione del cd. domicilio informatico ed acquisizione dei relativi dati; acquisizione di contenuti di posta elettronica; procacciamento e utilizzo dei metadati).
Alle autorità nazionali dell’antiriciclaggio che “per un corretto inquadramento del settore dei giochi nell’ambito delle norme inerenti, dovrebbero indicare nei propri report annuali i dati riferibili a questa specifica realtà, distinguendo per ogni tipologia di operatore e di gioco, in modo da consentire adeguate azioni di contrasto in un settore da sempre critico in quanto esposto alle infiltrazioni della criminalità organizzata”.
Al mondo della giustizia, che “procede con un passo non adeguato, con norme che non sono adeguatamente aggiornate. Fra le anomalie basti pensare che non vi sono disposizioni di procedura relative alla presenza nei fascicoli di documenti digitali ed ai conseguenti obblighi contabili per il rilascio di copie digitali”, e altresì manifesta carenze nella gestione dei procedimenti amministrativi e penali, anche a causa della nomina di consulenti non preparati sulla specifica materia.
Particolare attenzione meritano, da parte dell’industria, le misure suggerite dalla Commissione sulla necessità di un adeguato tracciamento delle giocate:
Infine, la Commissione richiede che siano avviate interlocuzioni più frequenti con gli uffici legali delle multinazionali di settore, sia per poter acquisire direttamente servizi offerti nel nostro Paese, sia l’effettuazione di rogatorie presso i paesi ove hanno sede legale, per la formale acquisizione agli atti del processo di notizie o elementi di prova indispensabili per la prosecuzione delle indagini.
La morale, sta tutta nell’ultima frase della relazione: “Una normativa frammentaria, che si presta particolarmente ad attività elusive, difficilmente può perseguire ed attuare gli interessi tutelati dalla Carta costituzionale”. A buon intenditor, poche parole.
Marco Cerigioni – PressGiochi
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