Dall’analisi della giurisprudenza amministrativa svolta dall’Osservatorio Giochi, nel bimestre marzo-aprile 2023, emerge la conferma di un dato: lo strumento normativo che fissa una distanza minima dell’offerta di gioco da “luoghi
Dall’analisi della giurisprudenza amministrativa svolta dall’Osservatorio Giochi, nel bimestre marzo-aprile 2023, emerge la conferma di un dato: lo strumento normativo che fissa una distanza minima dell’offerta di gioco da “luoghi sensibili” (in gergo “distanziometro”) è considerata una misura adeguata al fine di prevenire le dipendenze patologiche. A fronte delle argomentazioni scientifiche che evidenziano che i giocatori “patologici” affetti dal disturbo da gioco d’azzardo non vengono scoraggiati dall’allontanamento dei punti fisici ove si offre il gioco, essendo disposti a raggiungerli anche a costo di percorrere chilometri e, quindi, anche a spostarsi nelle periferie delle città, la giurisprudenza esaminata osserva che per tutelare i “patologici”, anche da politiche commerciali potenzialmente aggressive, occorrerà intervenire adeguatamente, in un momento successivo, ma intanto il “distanziometro” ha un senso in quanto aiuta a prevenire il passaggio del giocatore “sociale” nell’area della patologia.
In sostanza, seguendo questa impostazione, sottraendo alla vista l’offerta di gioco, il giocatore “normale” (qualificato “sociale” o “razionale”, comunque non patologico), più che astenersi dall’esagerare, smetterebbe proprio di giocare, non reperendo nelle vicinanze esercizi che offrono gioco legale. Sulla base di questo presupposto, entrando nel merito degli effetti che il “distanziometro” regionale o provinciale ha o può avere sui territori, si giunge ad affermare ‒ come già evidenziato nell’articolo pubblicato a febbraio scorso ‒ che la possibilità degli esercizi che offrono gioco di trasferirsi in parti del territorio minime e marginali, non produce l’effetto espulsivo lamentato dagli operatori di gioco. Infatti, si osserva, più che “espulso”, il gioco viene “marginalizzato” per contrastarne i conclamati effetti negativi. Così argomentando, secondo i giudici amministrativi, i profili più strettamente commerciali (e la stessa sostenibilità dell’impresa) non possono essere soppesati in quanto ogni valutazione circa la convenienza economica dell’attività esercitata viene ritenuta afferente alla sola sfera del rischio imprenditoriale degli operatori del settore. Queste conclusioni giudiziarie si inseriscono in un quadro di contesto che si presenta, comunque, in evoluzione e che prende atto anche delle divisioni interne al mondo scientifico relativamente al dibattito sulle dipendenze.
Passando dal diritto vivente alla dimensione politica, si può osservare che le politiche regionali in materia di gioco pubblico si pongono all’attenzione del Governo, chiamato ad attuare i princìpi contenuti nella Legge di Delega per la riforma fiscale, nella ricerca di una sintesi equilibrata tra gli interessi pubblici in campo (salute e ordine pubblico). Gli interessi preminenti andranno, poi, bilanciati con l’iniziativa economica privata, che ragionevolmente non può essere azzerata non foss’altro in ragione delle entrate erariali garantite. Quindi, preso atto che la scelta della politica regionale, che sta alla base del “distanziometro”, ha una ratio che rimane salda davanti alle eccezioni di incostituzionalità fino ad oggi sollevate, e alla guerra giudiziaria in atto da anni, sembra arrivato il momento che il Governo centrale faccia la sua parte. La Legge di Delega ha ricordato che la ratio della riserva in favore dello Stato delle attività di gioco trova fondamento, prima ancora che nelle esigenze dell’Erario, nei rilevanti interessi coinvolti nel gioco, quali le esigenze di contrasto del crimine e, più in generale, le esigenze di tutela dell’ordine pubblico, della fede pubblica dei giocatori e di controllo di un fenomeno suscettibile di coinvolgere flussi cospicui di denaro, a volte di provenienza illecita; non a caso le norme sul gioco sono inserite nel Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Se, da una parte, il legislatore nazionale dimostra di aver chiara la cornice dei valori che devono orientare il riordino del settore, valorizzando la tutela dell’ordine pubblico, dall’altra si avverte che le imprese di questo comparto economico vengono talora considerate “di default” contigue al malaffare, quale riflesso di una diffusa cattiva “reputazione” che ammanta l’area del gioco d’azzardo in generale. Si può, quindi, constatare che l’industria del gioco legale che opera in regime di concessione pubblica ed è sottoposta a rigide regolamentazioni e stringenti controlli, è un settore che patisce cattiva informazione. Eppure, lo Stato lo ha normato proprio per combattere il gioco clandestino, da sempre riserva della criminalità organizzata.
Chiara Sambaldi e Andrea Strata, Direttori dell’Osservatorio Permanente su Giochi, legalità e patologie dell’Eurispes
PressGiochi
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