Dell’avv. Generoso Bloise
Vi proponiamo oggi l’articolo pubblicato nella rubrica dell’avvocato Generoso Bloise nella recente uscita di PressGiochi Magazine, andata in stampa il 30 giugno scorso.
“Ci sono cose che non si vedono se non attraverso gli occhi che hanno pianto” ci ha insegnato quel formidabile autore che è stato il tedesco Wilhelm Mühs.
Lo sanno bene gli operatori del settore dell’automatico, in particolare quelli che ancora, con ammirabile pervicacia, continuano ad investire nel settore degli apparecchi senza vincita in denaro.
Abbiamo già parlato da queste pagine delle “nuove” regole tecniche ed amministrative del settore, evidenziando ogni volta l’inadeguatezza della normativa primaria che, al netto delle determinazioni più o meno elastiche adottate da ADM, continua a confinare il mercato in una struttura del tutto inadeguata ai tempi che viviamo.
Ma gli avvenimenti delle ultime settimane meritano qualche riflessione, anche al costo di mettere da parte un approccio esclusivamente tecnico-giuridico che di solito caratterizza questa rubrica.
Mentre gli operatori dell’automatico si trovano (tra innumerevoli rinvii e modifiche dell’ultimo momento) ad affrontare una impegnativa maratona amministrativo-burocratica, solo per poter installare un paio di video giochi e qualche biliardino o carambole presso dei pubblici esercizi o in qualche stabilimento balneare, accade che qualcuno si accorge che i più elaborati videogiochi da sala sono in realtà installati in location molto accattivanti e del tutto prive di certificazioni ed autorizzazioni amministrative, stante l’assenza di una normativa che ne identifichi precisamente limiti e contenuti.
E come capita in questi casi… denuncia, e conseguentemente…. la Pubblica amministrazione deve intervenire.
Sia detto per inciso non si vuole aprire una polemica con gli operatori degli Esport e della sale LAN (sebbene dal punto di vista del Regolatore i termini non sono affatto sinonimi), ma alcune considerazioni devono essere fatte per capire quale sia il deficit reputazionale che continua a pagare il settore, anche in questa particolare situazione.
Prima considerazione.
Non ha forse ragione l’operatore che si è lamentato? Non sono le apparecchiature messe a disposizione nelle sale Esport-Lan degli elaborati, moderni e potenti videogiochi connessi in rete?
Non ci interessa nemmeno approfondire la soluzione praticata dall’ADM per superare l’empasse in cui si è venuta a trovare suo malgrado, ed anche abbastanza incolpevolmente; ci interessa invece sottolineare che nel coro delle voci che si sono innalzate a difesa di questa offerta di intrattenimento e/o di pratica sportiva, le più forti erano quelle dei palatini della battaglie contro il gioco legale, quelle di quanti hanno fatto della lotta agli apparecchi (anche di quelli senza vincita in denaro considerati potenziali veicolo di offerta illegale) la loro ragione di vita, quantomeno politica.
Per carità ognuno la pensa come vuole, anche se si tratta di una attività complessa di solito considerata passata di moda, ma che implica comunque un minimo di coerenza, almeno logica.
Allora nel ricordare che molti politici hanno aggredito (sia a livello nazionale che locale) apparecchi come le ticket redemption e le comma 7A -che alla fin fine erogano o permettono di vincere piccola oggettistica o peluche- come giochi d’azzardo per bambini, attraverso i quali i perfidi operatori del settore avrebbero intenzione di allevare generazioni di futuri giocatori da slot machine.
Non possiamo non ricordare a noi stessi che con la pratica degli Esport sono avviati minorenni, spesso campioni di età tenerissima, alla partecipazione “professionale” a tornei che contemplano premi di centinaia di migliaia di euro; senza considerare che per molti bambini sotto i 12 anni la prospettiva di partecipare a certi giochi e promuovere questa attività sui social è visto come uno strumento di guadagno, alternativo alla formazione culturale e al lavoro.
È necessario – partendo dal presupposto che i politici siano tutti in buona fede, e rischiando quindi di avere clamorosamente torto – porsi il problema che forse questi nuovi prodotti hanno il fascino della novità oppure che non hanno il peso di una tradizione storica e culturale di atavica prevenzione, forse dovuta alla sovrapposizione con il modo dei vecchi videopoker.
Ma questo non basta a superare la contraddizione; ma forse basta a far capire che l’ignoranza circa i contenuti veri del mercato dell’automatico, delle diverse offerte e delle norme che se ne occupano è tanto immenso da apparire spesso incolmabile, almeno sui complessi e decisivi piani della politica e dell’informazione generalista.
Seconda considerazione.
In linea con quanto accaduto per gli Esport, le recentissime polemiche che si sono accompagnate alla scoperta della necessità di certificazione dei biliardini e la repentina approvazione, a colpi di fiducia, della norma “salva biliardino” appare ancora più allarmante.
Diciamolo francamente che sono 10 anni che la legge – a sempiterna affermazione della inadeguatezza del regolatore e del legislatore del tempo e forse non solo – prevede che apparecchi del tutto innocui debbano essere certificati e siano sottoposti a regime autorizzatorio e a tassazione medioevali; oggi una zelante stagione della Agenzia competente si pone l’obiettivo di rendere operativi tutti i precetti di legge e scopre che la vicenda è parecchio complessa e che anche in questa materia siamo stati capaci di costruire un sistema che non può funzionare: complicatissimo ed inadeguato a consentire uno sviluppo vero dell’intrattenimento in pubblico che deve fare i conti con le incredibili innovazioni tecnologiche dell’ultimo ventennio.
Anche qui la considerazione è d’obbligo: l’informazione, la politica e gli imprenditori di altro settore insorgono… e si trova una soluzione.
Cosa è successo davvero? Qualcuno ha davvero capito che certificare un biliardino è una idiozia?
In realtà è emerso che un certo mondo cattolico, da sempre contrario al gioco per partito preso, ha scoperto di essere destinatario della norma e dei relativi obblighi, ed evidentemente ha trovato ascolto (distratto ma allarmato) da parte della stampa e della politica; non solo, anche gli operatori balneari, sul piede di guerra per la battaglia sulle concessioni, ha messo a frutto i canali di comunicazione e di aggressione politica al Governo su ogni fronte sfruttando la polemica sui biliardini in più ampio disegno di lotta politica.
Ma la cosa più inquietante è che le polemiche hanno sortito degli effetti: il sottosegretario Freni, che dal proprio progetto di riforma aveva del tutto escluso ogni menzione ai giochi senza vincita in denaro, si fa carico di affrontare il problema e di trovare una soluzione… l’emendamento “salva biliardino”.
Tutti si aspettavano una norma chiara che dicesse, chiaro e tondo, in modo semplice, che gli apparecchi senza vincita in denaro non vanno certificati, o quantomeno che i biliardini, le carambole, i flippers, i ping pong, ecc non andrebbero certificati.
Invece la montagna partorisce il solo topolino deforme: ci sarà un elenco, aggiornato periodicamente dal Regolatore, che dovrà, di anno in anno, ricordarci che il biliardino non è azzardo.
Come volevasi dimostrare: situazione ancora meno certa, ma clamori sedati.
Dobbiamo comunque trarne degli insegnamenti.
Abbiamo imparato che l’aver fatto piangere altri settori ha permesso di far vedere che ‘il re era nudo’, e si è ottenuto qualcosa; poco, ma qualcosa.
È proprio vero che gli occhi che hanno pianto vedono meglio, quelli degli operatori dell’automatico dovrebbero quindi riuscire a vedere molto meglio di tanti altri e iniziare a guardare oltre la situazione attuale, farsi portatori di un nuovo modo di intendere l’intrattenimento in pubblico, anche con l’impiego degli apparecchi, e promuovere non procedure amministrative meno complesse, ma una diversa concezione del mercato e una normativa che sia idonea a permetterne lo sviluppo.
In caso contrario la partita è già persa.
PressGiochi
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